lunedì 1 dicembre 2008

L'albero di Natale

Natale si avvicina.
Qui a Ginevra hanno iniziato ad addobbare la città già all’inizio di Novembre e a fine Ottobre già mandavano a casa i cataloghi natalizi.
Ma si sa, in Svizzera sono precisi e puntuali. Giocano d’anticipo per spaccare il nanosecondo.

Non nascondo peró che io abbia vissuto un certo disagio: non mi era mai capitato di vedere i primi negozi addobbati nel giorno del mio compleanno (28 ottobre).
Ma il caos natalizio si è scatenato dopo la festa di Tutti i Santi, che qui è, naturalmente, Halloweeen. Da domenica 2 novembre i negozi si sono riempiti di palle, palline, neve finta, luci e fiocchi rossi. E nelle strade sono comparsi i primi (poveri) babbi natale con i loro carrettini e le loro campanelle ad allietare i passanti.
Svizzeri: strana gente.

Ed in tutto questo prematuro spirito natalizio ho ricordato con nostalgia quello che per me davvero rappresenta il Natale. Non questa corsa pazza all’addobbo, che brucia i tempi e, con essi, la gioia dell’attesa.
In un mondo in cui si vuole tutto e subito, io rimango aggrappata al ricordo del gusto agro-dolce della pazienza; la pazienza che ci faceva bramare l’arrivo dell’8 dicembre, giorno in cui mamma tira fuori tutti gli addobbi e inizia a decorare il nostro albero di Natale.

L’albero di mamma è sempre stato l’albero piú bello del mondo, a memoria d’uomo.
Nessuna casa ha mai avuto albero piú bello.
È un albero vivo. È un albero che racconta la storia della nostra casa e della nostra famiglia.
Mio fratello dice che ha anche un nome: UGO!
Ci sono addobbi che risalgono all’epoca di Tutancamon e ogni anno compare un pezzo in piú. È come un baule in cui le cose nuove si aggiungono ai vecchi ricordi, ed ogni pezzo racconta un’emozione vissuta.

Penso ai pacchitti regalo da usare come decoro che mia madre, tanto tempo fa, ha fatto con le scatoline delle medicine scadute, e a tutto il tempo che lei ha impiegato per impacchettarle alla perfezione.
Penso a quella specie di cerbiatto rosa/fucsia che ha deve avere piú anni di me e che ancora campeggia sul nostro albero.
Penso a quella macchinina decappottabile in rame con le pigne dentro, e a quella palla ovale bordata di velluto, “con cui giocavano i bambini alla corte della regina Vittoria”.
Penso alle luci a forma di Calimero, fulminate e conservate per anni.
... Poi sono arrivate le stelline dorate.

Mia madre è sempre stata l’architetto e il manovale, e ha sempre fatto l’albero ripetendo un rito sacro che si rinnova nel tempo.

Da un pó di anni abbiamo un abete finto che peró sembra vero... meraviglioso.
Con tutti quei cazzo di ramoni e rametti da aprire tutte le sante volte.
L’apertura dei rami non ce la siamo mai scampata, almeno quando noi, figli emigrati, eravamo nei paraggi.
Ma tanti tanti anni fa, nella notte dei tempi, andavamo nei boschi a prendere i ginepri.
Mai scorderó la felicità di quando tutti insieme partivamo per la missione “cerca il ginepro con la forma piú bella”. Era cosí entusiasmante, soprattutto per noi, bambini. Giravamo e giravamo tra le monrtagne finché il “nostro albero” non compariva e mamma e papá, come provetti boscaioli, lo buttavano giú e lo caricavano in macchina.
Quanti aghi per terra a gennaio.
Ma soprattutto quante volte noi piccoli abbiamo rischiato di lasciarci un occhio, quando tutti e tre (Matteo ancora non era nato), giocando, ci andavamo a sbattere contro.

Poi è arrivato l’abete vero....ottanta quintali di morbidezza.
Lo lasciavamo per tutto l’anno in giardino, nel suo immenso vaso di “cemento” bianco, e l’8 dicembre lo portavamo in casa per addobbarlo.
Ogni volta mia madre rischiava l’ernia per trascinarlo dentro; senza contare l’operazione “gira il vaso”, per ruotare l’albero fino a che non trovavamo il suo “profilo migliore”.

Fino a che non c’è stata la svolta ecologista dell’abete finto, che pur avendo quei rami “cosí” ha risolto tutti i nostri problemi di aghi a terra e soprattutto di “incolumità oculare”!

Il nostro albero è sempre stato in un angolo specifico della casa, lí dove un tempo c’era la kenzia, che ad ogni Natale era un casino perché non sapevamo mai dove parcheggiarla.
Lí all’ingresso, dove c’è la finestra. Mio fretello dice che sembra di entrere allo Space di Ibiza, “ma senza buttafuori”.
Tutte le persone che passano in strada possono ammirare l’abero piú bello del mondo; ma sempre come dice mio fratello “non hanno il permesso di entrare allo Space di Ibiza senza buttafuori”.

L’albero è sempre lí, che aspetta noi emigrati.
E ci accoglie a casa.
Finalmente.

2 commenti:

  1. Abiti a Ginevra???
    Anni fa ero lì e comprai un orologio.
    SFizzero.... no Made in Germany.... l' ho letto poi a casa. Però funziona benissimo ed è precisissimo.
    Sì, lo so che non c' entra nulla, ma il post era così carino da non dover aggiungere altro.
    Maury

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  2. La tua visita e il tuo commento mi riempiono di gioia!
    Grazie Maury!

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